AA. VV. a cura di Franco Forte
Una sfida ardua far innamorare gli italiani della fantascienza italiana. Noi importiamo fantascienza, ma ne produciamo poca e quel poco la snobbiamo, spesso a torto. Basti ricordare che alcuni autori hanno raggiunto il successo solo con pseudonimi stranieri. Franco Forte, il chief-editor di Urania, ha raccolto questa sfida e la propone anche per il futuro, vediamo con quali risultati.
“Guerra fredda” di Giulia Abbate ed Elena Di Fazio.
Il racconto parte bene, con una descrizione interessante del mondo e dei personaggi, in particolare quello del russo è assai ben riuscito, per incartarsi poi nel già sentito di una specie di ‘La cosa da un altro mondo’ dal finale incerto.
“A sort of homecoming” di Sandro Battisti
Racconto ostico, a partire dal titolo che forse vuole omaggiare gli U2. Leggi, leggi e non capisci nulla, ma speri nel futuro. Ma il futuro non arriva. Allora ti documenti. Il connettivismo, l’impero connettivo. Sì, okay. Quel che rimane è la sensazione di aver subito una gigantesca supercazzola quantica (parola ripetuta fino all’ossessione) e una grande domanda: lo scappellamento quantico si prematura a destra o a sinistra?
“Come concime” di Franci Conforti
Di questo racconto ho trovato meraviglioso il worldbuilding. Grande idea, di quelle che dici: ‘perché non ci ho pensato io?’. Ti aspetti un grande racconto e per un po’ ci credi, ma poi vieni lasciato un po’ così da un finale frettoloso e non del tutto chiaro.
“Il turismo spaziale come incontro di culture” di Davide Del Popolo Riolo.
Il taglio del racconto è splendido, una specie di flusso di coscienza, una persona che racconta a ruota libera quel che è successo in un worldbuilding di alto livello in cui il pianeta terra è ridotto ad attrazione turistica con gli alieni al posto dei cinesi… Il finale è degno, ma a parer mio troppo spiegato.
“Il mio nome è Lemuel” di Nicola Fantini.
Un’entità vive completamente da sola in un remoto avamposto con la sola compagnia di una sua simile. La loro routine viene sconvolta dall’arrivo degli umani che… non si capisce bene cosa vogliano. Fanno un sacco di strada per farlo fuori? Perché? La psicologia dello scorporizzato solitario comunque è resa bene.
“Geografia umana” di Clelia Farris.
Un mondo interessante la Nuova Venezia in cui tutti i rapporti umani sono regolati da dettagliati contratti. Succedono delle cose, un tentato omicidio, un clandestino, poi lei se ne va. Okay, amava le mappe e ora vuole viverne la realtà, ma il finale è così sottile da lasciare l’amaro in bocca.
“L’inferno dentro” di Lorenzo Fontana e Andrea Tortoreto.
Molto interessante l’idea di un’arma dotata di volontà propria che decide chi uccidere sulla base di parametri di fisiologici in una distopia religiosa agghiacciante. Bello che l’arma influisca anche sul portatore, bello il colpo di scena. Tutto bello.
“Ipersfera – Solo per maggiorenni e fino alla morte” di Lukha B. Kremo.
Una realtà virtuale in cui succedono cose incomprensibili per l’utente, ma anche per il lettore, in cui muori presto e facilmente. I sei duplicati sempre attaccati al fondoschiena non ho proprio capito a che cosa servano. Lei è il classico ‘deus ex machina’ e salva lui. Una premessa interessante che si poteva sfruttare meglio.
“Fatum” di Maico Morellini.
Un’interessante prospettiva. L’umanità confinata su una stazione spaziale, asservita in una rigida struttura gerarchica e religiosa e indottrinata con nozioni false, che fanno leva sul senso di colpa, come tutte le religioni. Filosofico, avventuroso, bello.
“L’automa dell’imperatore” di Piero Schiavo Campo.
La riscrittura storica è assai interessante, così come il periodo scelto, bello lo steampunk ante litteram. Il finale… purtroppo rende del tutto ininfluente l’automa dell’imperatore, che già prima si capiva poco a cosa servisse.
“Picadura – Una stria di Mondo9” di Dario Tonani
È una storia di Mondo9. C’è Naila, cè l’avvelenatore, l’uomo di latta. C’è la nave. Tutto bello, ma se non conosci Mondo9 ne capisci poco. Se conosci Mondo9 non aggiunge molto.
“Blue infernalia” di Emanuela Valentini.
Gran bella storia. Nella Nuova Roma ci sono le droghe, i bassifondi, gli emarginati, i nuovi gladiatori, la lotta per la vita, la rivoluzione. Tanta roba, forse troppa. Non ho capito chi è Nonnina, a parte quello mi è piaciuto molto.
“Zona di contenimento” di Claudio Vastano.
Molto interessante il plot scientifico. Si vorrebbe che fosse distopico ma purtroppo per tutti noi è solo di poco futuribile. Finirà così, tra poco ci fregheremo da soli. Bello e ben condotto il racconto, giustamente preoccupante il finale.
“Essere ovale” di Alessandro Vietti.
Inutile dire che l’Autore sa come rendere appassionante un viaggio in cui non succede nulla di realmente rilevante (vedi Real Mars). Il volo verso l’infinito e oltre ricorda un po’ la fine di 2001. Il finale è amaro, ma interessante e inaspettato. Unica domanda: la tetramelia che c’entra?
“Orbita pericolosa” di Alain Voudì.
Un romanzo condensato in un racconto, un mestiere del domani, i vizi umani di sempre. Bella storia, un protagonista fortissimo, un bellissimo finale pieno di pathos.
In conclusione Urania Stranimondi è un’antologia per lo più piacevole da leggere, interessante e varia. Contiene vere perle, belle storie e racconti così così. Spiace molto che sia stato scelto l’ordine alfabetico per i racconti, che mira più a non urtare i sentimenti degli Autori che ad attrarre i lettori. Il meglio, infatti, non è certo all’inizio, anzi ho trovato i primi due racconti un discreto scoglio, un ostacolo idoneo a disperdere più di un lettore. Da un lato una buona dimostrazione della qualità della fantascienza italiana, dall’altro l’ennesima prova che l’ambiente FS tricolore tende a fissare la punta delle proprie scarpe, anziché alzare lo sguardo in cerca di un pubblico vero, fatto di lettori anziché di scrittori che si leggono fra di loro. Però è un inizio, un buon inizio, ben incoraggiato dalla postfazione di Silvio Sosio.